40 anni dell’omicidio Moro: le riflessioni di Maria Chimisso

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40 anni dell'omicidio Moro: le riflessioni di Maria ChimissoTERMOLI – Il Vicesindaco di Termoli, Maria Chimisso, ha fatto delle riflessioni sui Quarant’anni dall’omicidio Moro. Di seguito si legge nella nota:

“Comincio come tanti….

A quarant’anni di distanza dalle 9.05 del mattino del 16 marzo 1978, la stampa, il mondo accademico, gli opinionisti e le persone comuni ricordano il rapimento del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e l’uccisione di cinque agenti della scorta. Tra di essi il giovane Giulio Rivera, prematuramente strappato alla sua famiglia, alla sua Guglionesi e al Molise.

Proseguo a modo mio…

Voglio onorare la memoria di Aldo Moro prendendolo a modello universale di uomo politico. Ogni azione di modellizzazione ha come risultato la trasformazione di un concetto plastico e flessibile in un contenuto statico, per quanto condiviso, e anche così non credo di fare giustizia a Moro, ingessandolo nelle definizioni. Tuttavia la qualità di questo professore dell’Università di Bari prestato alla politica è tale che non si può non prenderla a punto d riferimento, e non tanto per una riflessione sulla storia d’Italia, quanto per tentare una previsione sul futuro del Paese. Che con quegli anni di temperie ha molto in comune. Il postideologismo e l’assenza di attacchi terroristici in salsa nostrana non ci devono ingannare: stiamo vivendo anche oggi tutte le conseguenze politiche di una strategia della tensione che ha lo scopo preciso di sovvertire un ordine costituito per sostituirlo con un nuovo sistema.

Non ho nessuna intenzione di formulare giudizi politici sui risultati elettorali. Prendo atto però di una volontà precisa di destabilizzare il Paese, di minare la fiducia della gente, di creare sconforto, che tanto ha in comune con gli anni settanta e ottanta. Li abbiamo condivisi come “anni di piombo”, perché allora la strategia della tensione si serviva del piombo dei proiettili. Oggi potremmo parlare degli “anni dei veleni”, perché la strategia della tensione si serve del veleno delle parole, che, si sa, possono uccidere più delle pallottole. Con una differenza enorme, tra quegli anni e i nostri: l’assenza degli statisti, che rende il futuro ancora più incerto e l’inquietudine maggiore. E statista era di certo Aldo Moro, nel senso più alto del termine; per giunta non l’unico all’interno di una classe politica che le dittature e la guerra avevano forgiato e reso d’acciaio.

Non solo il più grande, ma anche il più scomodo, con quella sua pretesa di costruire un modo migliore attraverso il dialogo e le convergenze, di mettere insieme democrazia e comunismo, di dimostrare che poteva esserci un dialogo e un progetto condiviso anche tra l’Oriente e l’Occidente, quel dialogo che avrebbe finalmente composto una frattura che si era aperta ai tempi delle Guerre Persiane e da allora non si era più chiusa. Ma la pace, si sa, è scomoda per molti, perché presuppone soprattutto un atto di umiltà. Questa umiltà, che insieme ad una intelligenza profondissima e ad una visione incredibilmente lunga era un tratto distintivo della personalità di Aldo Moro, non piaceva a nessuno.

Non la volevano gli ideologismi farneticanti e perniciosi dei terroristi di destra e sinistra. Non la volevano frange irredente dei partiti italiani. Non la voleva, soprattutto, Henry Kissinger, perché avrebbe dimostrato possibile superare la divisione che da decenni si andava meticolosamente costruendo e infranto la supremazia dell’Occidente. Il muro della guerra fredda era fatto della materia evidente e tangibile dei mattoni del muro di Berlino, ma, principalmente, delle faide subdole e intestine dei servizi segreti. Sul ruolo degli Stati Uniti nel rapimento e nell’uccisione scontata di Aldo Moro, Gero Grassi sta scrivendo pagine illuminanti. La storia e la decriptazione degli archivi ci diranno presto la verità, che già filtra nell’interpretazione delle menti più acute.

Oggi come allora la strategia della tensione mira a creare divisioni, non tra Est e Ovest, ma tra i Paesi dell’Unione Europea, all’interno di questo gigante della Pace e dell’Unità che fa comodo agli Europei ed è nel contempo estremamente scomodo alla Russia e agli USA, alla Cina… Perché un’Europa divisa e scontenta ci rende deboli e giova solo a chi ha interesse in un’Europa fragile. Lo stesso vale per l’Italia: la penisola protesa nel cuore del Mediterraneo è più utile se è indebolita da lotte intestine, più facilmente preda di millenarie politiche di conquista. Forse esagero e forse la similitudine deve finire qui.

Perciò concludo questa riflessione con la differenza tra quel passato e il nostro presente. La più profonda di tutte: la passione, l’orgoglio e il rispetto per la politica e gli uomini politici, che oggi è vietato professare, pena l’esser seppelliti dagli insulti. Concludo con mio nonno Giuseppe, che il nove maggio 1978, quando la televisione diffuse la notizia della morte di Aldo Moro, scoppiò in un pianto dirotto, quello che si piange quando si perde una persona cara. Lo ricordo come fosse oggi e invidio la fiducia, la speranza, l’ottimismo e l’amore per il Paese che lui nutriva e che noi oggi abbiamo perso. Questa è la dissonanza più grande con il 1978: oggi, l’Italia è un paese triste”.