Con musiche dal vivo – curate da Manuel Petti – dà vita in modo brillante al Diario di Viaggio di un attore che da Gerusalemme, grazie a una guida palestinese che ama i film di Trinità, si mette “alla Ricerca dell’Abramo perduto”. Affabulazione, ironia, riferimenti all’attualità sono le chiavi per far rivivere, come in un mistero buffo, Storia, Mito e legenda del primo credente monoteista dell’Umanità. Da 4 millenni riferimento di Fede per miliardi di persone sulla Terra. Profeta condiviso da ebrei, cristiani e musulmani, a Ur dei Caldei, in Mesopotamia, dov’era nato, Abramo rifiutò l’idolatria dei suoi tempi, per credere in un solo e unico Dio creatore. In questo fu un innovatore: uno Zaddik, un giusto, come lo definisce la Torah; un Hanif, colui che ha fede con animo puro e candido, come è chiamato nel Corano. La ricerca della Terra Promessa, indicatagli da quella Voce creatrice per cui si era messo in ascolto, insieme alla sua ribellione ai fatui idoli, lo costrinse in realtà a un perenne peregrinaggio – dalla Mesopotamia all’Egitto; dalla Cisgiordania alla Penisola arabica; dal Mar Rosso al Mediterraneo – che lo rese, di fatto, il primo esule braccato dell’Umanità. Con momenti di grande istrionismo e divertimento e con altri più intensi e commossi, Figli di Abramo, indaga l’origine delle tre grandi fedi monoteiste, entrando nel merito della loro comune discendenza abramitica. Oltre a usi e costumi comuni, però, racconta anche la Storia di conflitti perenni e incomprensibili, fra popoli “gemelli”.
Conflitti perpetrati in nome dello stesso Abramo, dei suoi figli – Ismaele e Isacco – e poi dei figli dei suoi figli. Nella lettura comparata e sorprendente dei testi sacri, Torah, Vangelo, Corano, Abramo è sempre indicato come Patriarca e Profeta da tutti. Capostipite, sia delle 12 tribù d’Israele, da cui nasce e si diffonde prima il Giudaismo e poi il Cristianesimo, sia delle 12 tribù arabiche, da cui nasce e si diffonde l’Islam. Tutti i discendenti di tali tribù si considerano giustamente, Figli di Abramo. Il Problema, semmai, è nel fatto che poi ognuno racconti la Storia di Abramo, Abraham o Ibrahim – che dir si voglia – pro domo sua… Anzi, pro fede sua!
In Europa, come in Medio Oriente, o ovunque i Figli di Abramo oggi vivano, più che raccontare i danni procurati da integralismi e conflitti di religione bisognerebbe, perciò, cercare di narrare la storia di una florida interazione culturale, intellettuale e spirituale, dove tre grandi fedi, vivendo vicine, l’una accanto all’altra, si sono in realtà reciprocamente arricchite di valori comuni e universali. Segnando, così, molto del cammino dell’Umanità. Questi sono i temi che lo spettacolo, in realtà, affronta fin dalle prime battute. Affascinando con una affabulazione fatta di mille storie e mille miti connessi con Abramo che s’intrecciano fra loro, generando nuove storie e nuove tradizioni. Miti e Riti che ci sembra, forse, di aver dimenticato ma che sono fondamento e DNA delle nostre civiltà, delle nostre comunità, delle nostre complessità. Al Teatro del Loto, come al Det Norske Teatret – il Teatro nazionale di Oslo – crediamo che oggi valga la pena tornare a proporre opere che superino il minimalismo e il solipsismo di tanta drammaturgia contemporanea. Per ritrovare il gusto di affrontare grandi temi e grandi narrazioni che, come in questo caso, possono contribuire a rimuovere barriere, diffidenze, incertezze, solitudini. Quelle che attanagliano il nostro vivere comune. Per evidenziare, piuttosto, paralleli e linee di pensiero che uniscono grandi fedi e grandi culture. In un mondo in cui la polarizzazione tra laicismo e religiosità diventa sempre più autolesionismo che mina il nostro vivere – quando non ancor più esecrabile esercizio di potere – l’epica narrazione di Abrahams Barn ha regalato, in Scandinavia, a migliaia di spettatori, la gioia di sentirsi Comunità. È auspicabile che in Italia accada lo stesso con Figli di Abramo, produzione su cui il Teatro del Loto ha molto scommesso.
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Teatro del LOTO “il più bel piccolo Teatro d’Italia”
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