“Le imprese operanti nel Mezzogiorno non vogliono l’autonomia differenziata. Lo dicono a chiare lettere e senza ombra di dubbio. Un’Italia a due velocità non funziona e non funzionerà mai ed è un’illusione pensare che il Nord possa andare avanti da solo, rinunciando a sviluppare un mercato di 22 milioni di persone con una crisi della manodopera e di profili professionali specialistici.
Dall’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione, le regioni del Mezzogiorno hanno assistito inermi alla contrazione del PIL, al decremento della popolazione, alla penuria di interventi infrastrutturali di supporto al tessuto produttivo, allo sfaldamento del servizio sanitario nazionale e della formazione.
Questo ulteriore disegno autonomista, nato dall’idea secessionista prima e federale poi, graverebbe pesantemente sull’economia e sul tessuto sociale meridionale, azzerandone il futuro in termini di sviluppo e prosperità.
Oltre ad essere sbagliato e iniquo, il modello proposto nel Ddl Calderoli genererebbe un contenzioso enorme su materie fondamentali quali sanità e istruzione e un caos insostenibile su tutte le competenze delegate alle regioni che sono però fondamentali per il funzionamento del sistema industriale.
Insomma, le imprese continuerebbero a subire un gap competitivo dettato dalla lontananza dei mercati più vivaci, dagli elevati costi dei servizi, dal costo dell’energia e dalla scarsa domanda locale, con in più la difficoltà nel reperire le risorse professionali necessarie per operare in linea con le crescenti esigenze del mercato.
I cittadini meridionali, dal canto loro, vedrebbero acuirsi le diseguaglianze già oggi molto evidenti sui diritti essenziali garantiti dalla Costituzione. Sarebbe la fine del sistema sanitario nazionale e dell’istruzione pubblica uguale per tutti.
Il rapporto tra stato e impresa, da tempo deteriorato ed incapace di generare una politica industriale degna di questo nome, si complicherebbe ulteriormente sotto la provincializzazione degli interessi, generando una dialettica che nella migliore delle ipotesi si moltiplicherebbe in 21 declinazioni inutili per lo sviluppo del Paese.
L’industria meridionale ha bisogno di leve strategiche senza le quali è il futuro diventa davvero difficile: defiscalizzazione totale degli investimenti, decontribuzione totale delle retribuzioni, defiscalizzazione degli oneri sull’energia, incentivi all’autoproduzione di energie alternative negli impianti industriali, contributi sui pedaggi autostradali.
Le risorse vanno trovate in Italia o in Europa, perché e’ in gioco la tenuta “europea” di territori che altrimenti finirebbero abbandonati definitivamente, e non solo dall’industria”.
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