Era il 1955 quando veniva messo in scena per la prima volta, al Piccolo di Milano, Processo a Gesù di Diego Fabbri. Da allora diventa una delle opere teatrali di autore italiano più rappresentate al mondo. Fabbri, autore cattolico, inventa un testo coinvolgente che vuole e riesce a parlare all’anima della gente. Il testo prende spunto da una famiglia di ebrei, che decide di mettere in scena ogni sera il Processo a Gesù di Nazareth, cercando così di capire, se quello che avvenne all’epoca dei fatti del figlio di Dio fu giusto o sbagliato secondo la legge giudaica. In questa tormentata ricerca, vengono ascoltate le testimonianze di chi all’epoca ebbe ruoli decisivi nello svolgimento dei fatti.
Seguendo uno schema di tipo processuale Caifa, Ponzio Pilato, gli Apostoli, Maria di Nazareth, Giuseppe, la Maddalena, portano il loro contributo, la loro testimonianza, raccontando secondo i loro punti di vista il modo in cui si svolsero i fatti fino al tragico epilogo.
Risponderanno alle domande dei giudici, si scontreranno tra di loro cercando di far prevalere le ragioni di ognuno, le proprie tesi, rivelando punti di vista nuovi ed inaspettati, sempre in bilico tra ruoli pubblici e debolezze umane, fino a scoprire intime paure, timori e perplessità, pentimenti e rancori.
È probabilmente la vera chiave di volta, che rende l’opera di Fabbri un capolavoro assoluto del teatro italiano. Tutti i personaggi partono da una posizione, potremmo dire ufficiale, ma nel corso delle proprie deposizioni le loro convinzioni vacillano, lasciando spazio agli uomini con tutte le loro debolezze, dubbi, incertezze. Nel momento in cui gli ‘uomini’ prevalgono sui ruoli istituzionali che vengono fuori gli aspetti più nuovi ed inattesi, aprendo in questo modo spiragli e punti di vista insospettabili.
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