Siamo con la banda musicale. Ed ecco Umberto che si fa apprezzare per come suona il trombone. Umberto sa leggere e scrivere. È per questo che può difendersi dall’arroganza. Come non pensare a Don Milani, oggi osannato, allora perseguitato dalla Chiesa: l’operaio sa 300 parole, il padrone 1000. È per questo che lui è il padrone. La forza di questo romanzo, costruito con tanti racconti, è il presente. Noi siamo sempre nel presente. È per questo che siamo nella casa col camino che brucia gli sterpi, e non c’è legna buona per scaldare la casa. E da lì cominciamo a pensare che vogliamo cambiare la nostra vita, e che forse la Merica è la risposta. Una vita nuova, non dover pagare mai più le feste del re, con il pizzo sui francobolli. E siamo sulla nave, in terza classe. E, come sottolinea Nadia, non erano miserabili quelli della terza classe, erano solo poveri.
È il mezzogiorno d’Italia che, con l’annessione al Nord, a Casa Savoia, diventa ancora più povero, perché depredato, tassato e con la coscrizione obbligatoria, usato per il nascente capitalismo del Nord. Facciamo la fila per l’ingresso negli Stati Uniti, dopo un viaggio pieno di sporcizia, di malnutrizione, e di sovraffollamento. Ma poi arriva il lago, la bottega, la casa nuova, con l’acqua, e il bagno. La libertà. Qui anche un povero può diventare ricco. Ma dall’Italia non arrivano solo onesti lavoratori, arriva anche la mafia. E così la nuova vita si rompe. Per uno sparo vagante, in una lotta tra bande, che finisce sulla fronte di Umberto, un uomo felice, che ha appena comprato un cappello per la sua bella moglie, e dei dolci per tutti, bambini e adulti. Muore senza capire. E siamo lì, nella stanza, siamo presenti all’urlo di Concetta, quell’urlo che non ha fine, che passa dalle finestre e invade le strade e l’aria e tutto. Ci hanno seguito gli entusiasmi della piccola, l’abbiamo vista sbirciare la prima classe e le signore eleganti, e la musica e le luci. Le sue inarrestabili domande, il suo entusiasmo per la scuola, per il sapere, per imparare. La terribile storia delle donne, di ogni donna, le violenze, i soprusi, non solo dei padroni, anche del maschio povero. È come sentire fisicamente questi maltrattamenti, una prigione da cui non si scappa. E se poi ti fai coraggio e scappi, la Merica ti rimanda indietro, a fare la serva e la puttana per il maschio di turno.
Questo libro di Nadia mi ha fatto piangere. Eppure mi ha dato anche contentezza. Il pianto è il pianto per la vita di tutti gli oppressi, dei poveri. Perché, come ci ricorda Donatella di Cesare, è il capitalismo che crea i poveri. E in questa nostra epoca, come in altre, è riuscito a convincere il popolo che i suoi interessi non sono gli interessi di una classe, ma gli interessi generali, cioè di tutti. E noi sappiamo che questa si chiama manipolazione, ma lo sappiamo in pochi. La contentezza invece mi viene dallo “spazzolare” la storia, il fare cioè alla storia “il contropelo”, come fa Nadia e come dice Walter Benjamin, nella sua critica allo storicismo, riaffermando la necessità del materialismo storico. Essendo la storia della lotta di classe, in cui il proletariato è solo l’ultimo anello della catena. Ed ogni generazione ha il compito di rendere giustizia alle generazioni passate, agli oppressi di tutti i tempi, e di combattere quelli che hanno sempre vinto e che non hanno smesso di vincere. Questo lavoro deve finire nelle scuole, di ogni ordine e grado, e certo meriterebbe lo Strega».
Introdurrà e coordinerà l’incontro Teodorino Campofredano della Pro Loco di Ururi, Iana Puleggi dialogherà con Nadia Verdile. L’incontro si svolgerà nel pieno rispetto della normativa antiCovid.
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