ISERNIA – In numerose aree geografiche d’Europa sopravvivono rituali che vedono protagoniste le maschere dell’uomo-fauno, travestimenti legati principalmente al periodo di carnevale oppure ad esso rapportabili in chiave di passaggio stagionale. Si tratta di primitive forme zoo-antropiche, documentate fin dal paleolitico superiore. Quando l’uomo non era ancora agricoltore era già cacciatore e frequentava la selva, specchiandosi in ciò che poteva osservare intorno a sé, in particolare gli animali. Ecco, quindi, l’induzione al mutamento, l’esigenza di impossessarsi, attraverso elementi ferini, dei caratteri distintivi della preda da catturare, della bestia da rispettare, dell’animale totemico con cui confrontarsi riproponendone l’aspetto in rapporto alle forme di epiphàneia cerimoniale e ai processi di rappresentazione teriomorfa.
In questo modo si instaurava un sistema magico di mutazione che, in qualhe misura, continua a sopravvivere in molti mascheramenti, come quelli degli animali nei quali l’uomo, in una esperienza rituale qual è appunto il carnevale, si trasfigura per assimilarne l’aspetto e i valori, indossando a tal fine ciò che ne caratterizza le sembianze, come le pelli, le corna, la coda e altro ancora. La vestizione conduce a una metamorfosi simbolicamente interpretabile quale legame prodigioso, laddove il protagonista del travestimento, anche in chiave di suggestione e di spettacolarità festiva, si identifica nell’animale attraverso la sua personificazione.
Zvončari (Halubje, Croazia)
Nello Halubje (Viskovo, Croazia), si conserva un’antica tradizione, quella degli Zvončari, ossia gli ‘scampanatori’. Indossano una pelle di pecora e hanno un grande campanaccio allacciato alla vita e pendente sulla zona bassa della schiena. Sul capo portano una maschera che raffigura una testa d’animale, con corna sporgenti e una lunga lingua rossa. Vestono pantaloni bianchi con riga rossa verticale e maglietta a strisce blu orizzontali. In mano reggono una mazza detta bacuka o balta. Nel periodo di carnevale, gli Zvončari vanno per i villaggi riproponendo un rito di passaggio stagionale. Il loro forte e insistente scampanio, infatti, intende scacciare l’inverno per dare il benvenuto alla primavera. La tradizione degli Zvončari è stata inserita nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco.
Kurents (Ptuj, Slovenia)
I Kurents di Ptuj, in Slovenia, indossano velli di pecora, hanno grandi campanacci legati alla vita e portano un enorme copricapo di pelliccia decorato con corna, piume e nastri colorati. La maschera facciale di cuoio è caratterizzata da un grosso naso e da una lunga lingua rossa. L’intero costume può pesare fino a 40 chili. Secondo la tradizione popolare slovena, i Kurents, saltellando e facendo rumore, scacciano l’inverno e annunciano la primavera. I cortei carnevaleschi dei Kurents sono inclusi nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco.
Momotxorros (Alsasua, Spagna)
I Momotxorros di Alsasua, una città della Navarra in Spagna, indossano pelli di pecora sulle spalle; in testa portano corna bovine e alla cintola hanno legati dei campanacci; in mano impugnano un forcone di legno. I Momotxorros ungono i forconi e si imbrattano con il sangue d’un maiale, poi compiono scorribande nelle vie e nelle piazze, urlando e minacciando i passanti con i forconi. Un uomo travestito da capra – che rappresenta il diavolo (deabrua) –, seguito da un gruppo di streghe (sorginak), si unisce al corteo. Viaggia su un carro e provoca le streghe con atteggiamenti osceni. Anche altre maschere sono presenti in questo carnevale. Una è Juan-tran-posoak, personaggio obeso che si muove in sacchi di iuta imbottiti di paglia. Ci sono, inoltre, le maskaritak, ossia ‘le fanciulle’, figure “senza volto” giacché un panno copre le loro facce.
Didi s Kamešnice (Gljev, Croazia)
A Gljev, una località croata, nel periodo di carnevale si può incontrare il corteo chiassoso e colorato degli uomini-montone, chiamati Didi. Indossano vestiti multicolori e pieni di frange e hanno copricapi di pelle ovina lanosa, alti circa un metro e mezzo. Alla vita portano gli immancabili campanacci il cui suono vuole stimolare il risveglio della natura dopo il riposo invernale. Nel corteo ci sono diverse altre maschere che, tra le non poche azioni e pantomime, inscenano uno sposalizio che vuole essere di buon auspicio per l’avvento della stagione primaverile.
Landzettes (Allein, Valle d’Aosta)
Il carnevale della «Coumba Freida» (ossia Valle Fredda) è caratterizzato da una spettacolare parata delle Landzettes, tipiche maschere valdostane che tengono in mano un frustino fatto di crine di cavallo; alla vita hanno una cintura con un campanello e in testa portano un copricapo floreale. I loro abiti sono rossi e mostrano luccicanti paillettes e specchietti. Il loro volto è coperto da maschere di diverse sembianze. Fra i personaggi c’è Arlequin con pantaloni rosso-verdi, il cui copricapo, così come il resto dell’abbigliamento, è un tripudio di colori inneggianti alla primavera. Uno dei protagonisti della parata è l’Orso, simbolo del risveglio dal letargo Invernale.
Is’Arestes e s’Urtzu Pretistu (Sòrgono, Sardegna)
Gli Arestes (gli agresti, i selvatici) indossano una pelle di capra, pecora o mucca, sulla schiena portano appese ossa d’animale, in testa hanno un casco di sughero, foderato di pelle lanosa e sormontato da corna di caprone, cervo o bovide. Hanno il viso e le braccia annerite da fuliggine e sono armati di bastoni e di forconi, e con dei saltelli provocano rumori con gli ossi. Alcuni di loro sono dotati d’un corno di bue, che usano come aerofono, suonandolo per scandire le fasi del rito. In testa al corteo, uno o due Arestes tengono legato con una catena la vittima predestinata al sacrificio: l’Urtzu pretistu, un uomo che indossa una pelle d’animale e corna di toro, e che viene percosso e pungolato dal gruppo degli Arestes. Il rito del sacrificio culmina con la simbolica uccisione dell’Urtzu.
Maschere Cornute (Aliano, Basilicata)
Le Maschere Cornute di Aliano (Matera) si ispirano a quelle menzionate da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli: «Venne il carnevale […] e urlavano come animali inferociti, esaltandosi delle loro stesse grida. Erano le maschere contadine. […] Portavano in mano pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciosi, e sbattevano con esse sulla schiena e sul corpo tutti quelli che non si scansavano in tempo. Sembravano demoni scatenati». Ciò che descrisse Levi è interessante soprattutto perché porta alla mente gli antichi Lupercali, feste di purificazione che si celebravano il 15 febbraio, caratterizzate da giovani e da sacerdoti che, coperti con pelli di animali sacrificati a divinità pagane, colpivano con le corregge ottenute dalle stesse pelli le donne che desideravano la
fecondità.
Il Diavolo (Tufara, Molise)
Il Diavolo di Tufara mostra i caratteri di analoghe maschere terio-demoniache e zoo-antropiche. È coperto di pelli di capra e indossa una maschera facciale nera, bianca e rossa, da cui pende una lunga lingua posticcia di color vermiglio. È armato di tridente e le sue corna sono ottenute modellando orecchie di capra, a cui vengono allacciate due fettucce porporine. Il Diavolo ha un suo corteggio: è accompagnato dai Pulcinella-Morte e dai Folletti-Monaci. I primi indossano un costume bianco guarnito di nastri colorati, a somiglianza di molti Pulcinella dei carnevali italiani. Come copricapo hanno un fez porporino con nappa blu. Brandiscono entrambi ‘il falcione’, la grande falce, l’universale attributo della Morte. I Folletti, vestiti con saio francescano o abito monacale, tentano di tenere a bada con delle catene il Diavolo che si voltola, fa improvvise capriole, salta ripetutamente, urla, agita il tridente. Di tanto in tanto, il gruppo di maschere si avvicina minaccioso ai passanti e li blocca, lasciandoli andare solo quando hanno accettato di pagare una sorta di piccolo riscatto.
Il Brutto (Macchiagodena, Molise)
Il carnevale tradizionale di Macchiagodena ha tre protagonisti: il Brutto, il Bello e Santa Monna. Il Brutto (ru Bruttë) è una maschera zoomorfa, un uomo coperto di pelli ovine o caprine e il volto tinto di nero. Porta corna bovine o di montone sul capo e campanacci legati intorno alla vita. Il Bello (rë Biellë) è una variante dei Pulcinella-primavera. Veste di bianco e indossa un cappello a larga tesa da cui pendono nastri colorati. Santa Monna è la personificazione della Quaresima. Viene interpretata da un uomo travestito da donna, con abito nero e una cintura (o collana) con sette patate, in ognuna delle quali è conficcata una piuma di gallina, a somiglianza delle pupattole quaresimali in uso nel folklore italiano.
L’Orso (Jelsi, Molise)
L’Orso è la maschera zoomorfa più diffusa in Europa. Sono numerosi, infatti, i carnevali del nostro continente caratterizzati dalla presenza d’uno o più uomini travestiti da ursidi. Nel Molise, fonti giornalistiche ne segnalarono la presenza nel 1938 e, successivamente, ne è stata documentata la tradizione in almeno tre località. A Jelsi, da alcuni anni viene rappresentato un carnevale interpretato da un Uomo Orso e da altri personaggi, fra cui il Domatore, ossia l’antagonista dell’animale che egli tiene a bada con un robusto bastone. Durante la rappresentazione, l’Orso viene incatenato e sollecitato a danzare, come accade ancora, ad esempio, in alcuni rituali mascherati della Romania o come accadeva quando, in Italia e nel Molise, gli orsari giravano per paesi e città tenendo legato un vero orso ammaestrato che, a comando, veniva fatto ballare.
L’Uomo Cervo (Castelnuovo al Volturno, Molise)
A Castelnuovo al Volturno, in Molise, l’ultima domenica di carnevale un uomo si traveste da Cervo. Indossa alcune pelli di capra e un copricapo provvisto di autentiche corna di cervide. A un analogo mascheramento si sottopone la fanciulla che interpreta la Cerva, priva ovviamente del palco di corna. Quando calano le prime ombre della sera, la musica degli zampognari locali sancisce l’avvio della pantomima. Poco dopo, dai monti giunge un lungo urlo: è il ‘bramito’ dell’Uomo Cervo che irrompe nella piazzetta che funge da teatro della rappresentazione, accompagnato dal clangore dei campanacci che tiene appesi alla cintola e al busto.
Sprigiona un’aggressività selvaggia e, insieme alla Cerva, spaventa le persone e si scaglia con furia distruttrice su tutto ciò che incontra. A questo punto, entra in azione Martino (un Pulcinella montanaro) che dopo una breve lotta riesce a legare le indemoniate bestie e le ammansisce. I Cervi, cercano di liberarsi, ma viene decretata la loro condanna a morte. Il Cacciatore, un altro personaggio della pantomima, inforca il fucile e spara. I Cervi, colpiti, cadono a terra morti. A questo punto, il Cacciatore si avvicina ai Sono partner del CEMZ le associazioni culturali “Il Cervo” di Castelnuovo al Volturno e “Il Diavolo” di Tufara. due animali abbattuti, s’inginocchia e soffia in un loro orecchio. I Cervi tornano magicamente in vita; docili e ormai purificati da ogni carattere malvagio.
Testi di Mauro Gioielli