“E certo, uno solo devo averlo, è il presupposto del teatro. Il primo racconto di un essere umano ad un altro è già teatro, ma ora qui da noi, per chi lo faccio?”. C’è un po’ di sconforto nelle parole di Stefano Sabelli da Roma, attore e autore molisano, patron del Loto, fucina di spettacoli che poi da lì prendono il via per i teatri d’Italia. Ma un artista in questi momenti affonda il pensiero nella sua sensibilità e il teatro è per fortuna una miniera di spunti.
“Credo che gli artisti avranno un compito molto importante nei prossimi mesi, più importante che mai. Riflettere insieme agli altri. Ecco Re Lear, Acab e il Saul: penso che questo virus sta attaccando soprattutto le persone anziane. Shakespeare scrisse Re Lear durante una quarantena di peste, e sono tutti testi che parlano dell’uomo e della solitudine – chiarisce Sabelli – Certo, si tratta di testi che raccontano la follia senile, la perdita del potere, o dell’energia, la sfida alla vita. Anziani che provano ad andare contro natura. E qui è la natura che va contro gli anziani”.
Da queste riflessioni si può arrivare anche ad analisi più complesse: “Certo, perché se il bersaglio di questa pandemia è il vecchio, qui stiamo rimettendo in gioco le fondamenta della nostra civiltà: qui finisce che arriva qualcuno e dice ‘salviamo la società e buttiamo a mare i vecchi per motivi economici’, come succedeva a Sparta che i vecchi si buttavano dalle mura perché non li manteneva più nessuno. É con l’Umanesimo che tutte le età assumono lo stesso valore. Qui con la crisi dello stato sociale si può anche arrivare a pensare che invecchiare sia una tragedia moderna: mi pongo questa domanda con angoscia. In quei paesi molisani deserti viene meno insomma anche il ruolo sociale della vecchiaia, e mi convinco che ci sia bisogno di un ripensamento sociale, che questa clausura ci insegni a ragionare come gli anziani, che hanno meno bisogni e vivono del necessario e non del superfluo, specie in Molise”.
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