Il testo è di Pupi Avati, adattamento teatrale Sergio Pierattini, regia di Marcello Cotugno, scenografie Luigi Ferrigno, costumi Alessandro Lai, luci Pasquale Mari.
Quattro amici di vecchia data, Lele, Ugo, Stefano e Franco, si ritrovano la notte di Natale per giocare una partita di poker. Con loro vi è anche il misterioso avvocato Santelia, un ricco industriale contattato da Ugo per partecipare alla partita. Franco è proprietario di un importante cinema di Milano ed è il più ricco dei quattro, l’unico ad avere le risorse economiche per poter battere l’avvocato, il quale tra l’altro è noto nel giro per le sue ingenti perdite.
Tra Franco e Ugo però, i rapporti sono tesi; la loro amicizia, infatti, è compromessa da anni, al punto tale che Franco, indispettito dalla presenza dell’ormai ex amico, quasi decide di tornarsene a casa. La sola prospettiva di vincere la somma necessaria alla ristrutturazione del cinema lo fa desistere dall’idea. La partita si rivela ben presto tutt’altro che amichevole. Sul piatto, oltre a un bel po’ di soldi, c’è il bilancio della vita di ognuno: i fallimenti, le sconfitte, i tradimenti, le menzogne, gli inganni. È uno tra i più bei film di Avati, lucido, amaro, avvincente.
Eraclito nel suo saggio I giochi e gli uomini, il sociologo Roger Caillois suddivide i giochi in quattro categorie: agon o competizione, alea o caso, mimicry o maschera ilinx o vertigine. Il poker, secondo molti, si avvicina all’idea del gioco perfetto, poiché racchiude in sé tutte e quattro queste anime. “Nulla come il gioco del poker vi rivela – sostengono il filosofo Rovatti e il sociologo Dal Lago – la persona morale di chi vi sta di fronte (e la vostra a loro)”. Il poker è anche un nobilissimo gioco tra gentiluomini, un rito moderno in cui mostrarsi per quello che non si è, proprio come in una rappresentazione teatrale: quanto più la maschera è forte e impenetrabile, tanto più sarà difficile comprendere i nostri punti.
Originariamente ambientato negli anni ‘80, il testo è stato trasposto nel 2008, anno in cui la crisi economica globale si è abbattuta sull’Europa segnando profondamente la società italiana. In risposta a recessione e precariato, il gioco d’azzardo vive una stagione di fulminante ascesa, e – dalle slot che affollano i bar e al boom del poker texano – si moltiplicano i luoghi e le modalità in cui viene praticato. I soldi facili sono la chimera inseguita anche dai nostri protagonisti, in un crescendo di tensione che ci rivela mano dopo mano come, al tavolo verde, questi uomini si stiano giocando ben più di una manciata di fiches.
Cinque attori di grande livello, Gigio Alberti, Filippo Dini, Giovanni Esposito, Valerio Santoro e Gennaro Di Biase, si calano in una partita che probabilmente lascerà i loro personaggi tutti sconfitti, a dimostrazione di come alcuni valori fondamentali delle relazioni umane – amicizia, lealtà e consapevolezza di sé – stiano dolorosamente tramontando dal nostro orizzonte. D’altro canto, già Aristotele, tra i primi filosofi a riconoscere il valore dell’amicizia (“l’amicizia è una virtù indispensabile all’uomo: nessuno sceglierebbe di vivere senza amici”), metteva in guardia gli uomini nello scegliere bene i propri amici, poiché interessi materiali possono facilmente prendere il sopravvento sul sentimento.
Con la sua stringente contemporaneità e la sua universalità fuori dal tempo, la parabola di Regalo di Natale è allora il trionfo del singolo sul collettivo, è la metafora del successo di uno conquistato a spese di tutti, è il simbolo di una teatralità doppia e meschina, è un’amara una riflessione su come stiamo diventando. O su come forse siamo già diventati.
Se il poker è lo specchio della vita, il teatro è il luogo dove attori e spettatori si possono rispecchiare gli uni negli altri. E due specchi messi uno di fronte all’altro generano immagini. Infinite.
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