“Nell’immaginario comune, nonostante sia evidente qualcosa di diverso – spiega la Corvino all’Ansa – la famiglia rimane un ambiente collaborativo in cui il supporto e il mutuo aiuto rimangono il collante fondamentale. Non a caso anche in politica spesso si utilizza il tema per motivi strumentali senza far emergere quanta violenza invece si consumi all’interno della abitazioni private. Quando i carnefici sono familiari, proprio in virtù delle narrazioni sulla famiglia appare molto più difficile ribellarsi e denunciare. La donna protagonista di questo caso di cronaca afferma di aver più volte cercato aiuto, anche chi avrebbe dovuto denunciare ha preferito rimanere fuori da una faccenda privata”.
Secondo la docente “le regole di questo spazio sociale sono spesso diverse da quelle dello spazio pubblico; purtroppo alcuni tipi di vulnerabilità come quella emotiva ed economica possono essere strumentalizzati avviando una spirale di violenza che raggiunti determinati livelli sembra impossibile da disinnescare”.
“La Convenzione di Istanbul – aggiunge – nell’art. 12 prevede il dovere di ‘adottare le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini’. Per prevenire gli abusi familiari bisogna investire sulla cultura, sull’istruzione; molto può fare il legislatore, ma non è sicuramente sufficiente investire in strumenti di sicurezza diretta”.
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