I primi considerano le carceri delle «discariche sociali» come le definisce il noto sociologo polacco Zygmunt Bauman realtà esterne dalle città in cui la punizione deve prevalere sul recupero.
I secondi invece ritengono – correndo il rischio di non distinguere il grado di pericolosità del colpevole o la sua disponibilità a pentirsi – che le carceri facciano più male che bene perché «anziché aumentare la sicurezza, la diminuiscono, restituendo uomini e donne più fragili o più pericolosi».
Sollecitati da una nuova cultura giuridica e dalla scelta di soluzioni umanamente percorribili per gestire i penitenziari, i Vescovi della CEAM hanno inteso programmare nell’Anno Santo della Misericordia e in prossimità del Giubileo dei carcerati indicato da papa Francesco, un Seminario di Formazione rivolto ad operatori di pastorale carceraria e volontari delle carceri a confronto con i “fratelli“ detenuti.
La compassione e l’umanità della riabilitazione rimangono i due fondamenti sui quali anche Papa Francesco, a partire dal suo discorso del 5 luglio con i detenuti del carcere di Isernia, e incontri successivi nelle altre realtà carcerarie della Nazione, invita tutti a celebrare il Giubileo dei carcerati il prossimo 6 novembre 2016.
Promuovere una cultura umanizzante a partire dalle carceri. La cultura del Perdono a partire dalla Giustizia, come giustizia riconciliatrice.
Perché “la Misericordia senza Giustizia – ha detto monsignor Bregantini nel primo intervento del seminario – è buonismo, la giustizia senza misericordia diventa giustizialismo. Chi ha commesso un reato deve pagare il suo prezzo ai soggetti offesi, ma deve poterlo fare sul sentiero della redenzione e con dignità perché le ferite possano diventare feritoie”.
Nel secondo intervento don Virgilio Balducchi ha spiegato come “in carcere si vede come lavora Dio. Se un detenuto percepisce che qualcuno gli vuole bene, si sente perdonato e si predispone all’assunzione di responsabilità del male fatto agli altri. Solo allora chi ha sbagliato può intraprendere il percorso della misura alternativa al carcere nella quale la società deve credere. Per questo c’è bisogno di puntare alla mediazione penale come punto di incontro tra colui che ha fatto il male e colui che l’ha subito”.
Dopo le testimonianze di operatori e detenuti che hanno sottolineato l’importanza delle misure alternative, monsignor Camillo Cibotti, vescovo di Isernia –Venafro ha concluso che
“Il carcere è terribile soprattutto per la famiglia del detenuto e per questo va umanizzato. La sofferenza è una via obbligata da percorrere ma va sostenuta. Non rinforziamo le sbarre, lavoriamo per tagliarle”.
L'Opinionista © 2008 - 2024 - Molise News 24 supplemento a L'Opinionista Giornale Online
reg. tribunale Pescara n.08/2008 - iscrizione al ROC n°17982 - P.iva 01873660680
Pubblicità - Contatti - Privacy Policy - Cookie Policy