Trasponendo in musica alcune delle pagine più significative di Cirese, ne ha evidenziato la sorprendente attualità e la loro profonda aderenza a istanze e aneliti che ancora pervadono molte delle comunità molisane. Come già nelle pagine di Cirese, anche nei brani di Moffa si avverte così l’eco della vita quotidiana dei paesi molisani, in virtù della stessa adesione sentimentale alla causa di quei “ceti subalterni” che costellano la biografia intellettuale del ricercatore e poeta che, per modernità di approccio al mondo popolare, si era guadagnato la stima di Pier Paolo Pasolini e di Montale. Dal brano di apertura, Pagliara, alla ripresa dei canti arbëresh, il Concerto segue un insieme di riferimenti storici e culturali estesi anche al figlio di Cirese, Alberto Mario, tra i fondatori della moderna ricerca antropologica, per dar vita a brillante rivisitazione sonora di un intero universo poetico e antropologico condotta all’insegna di quelle grida di ragazzi che spesso irrompono nelle pagine ciresiane: Uauà, per
l’appunto.
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